Notule

 

 

(A cura di LORENZO L. BORGIA & ROBERTO COLONNA)

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XIII – 02 maggio 2015.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: BREVI INFORMAZIONI]

 

Non tutti conoscono l’effetto “nocebo. L’effetto placebo è comunemente noto come un’azione positiva sulla salute o sullo stato funzionale di un organismo, attribuita ad un agente in realtà inerte, e dovuta a processi fisiologici intrinseci dell’organismo - come quelli di cui si occupa la psiconeuroimmunologia – i cui meccanismi molecolari includono l’attivazione dei recettori degli oppioidi. L’effetto placebo può anche costituire una parte dell’effetto di molecole farmacologicamente attive, ossia in grado di produrre “una o più variazioni misurabili in un organismo vivente”, e perciò definite correttamente “farmaci”. Un tempo si attribuiva questo effetto alla suggestione, intesa come uno stato psichico influenzato da un’informazione recepita coscientemente, ma poi si è scoperto che le cose sono più complesse. Sperimentalmente si induce l’effetto placebo con un finto farmaco, come una compressa di talco o di zucchero, per misurare di quanto l’effetto di una nuova molecola terapeutica superi quello evocato spontaneamente nell’organismo. Proprio gli studi sull’effetto placebo stanno gettando luce sul suo contrario: l’effetto nocebo. Con questa espressione si definiscono i processi fisiopatologici innescati dalle aspettative negative nell’organismo, a partire dal cervello.

Il problema è noto da tempo e, in Italia, è stato particolarmente studiato da Giuseppe Perrella, all’inizio degli anni Ottanta, nei pazienti a regime terapeutico cronico. Attualmente si dispone di conoscenze e strumenti per indagare in dettaglio le sue basi neurobiologiche. Alcuni sintomi indotti per effetto nocebo sono particolarmente studiati:

-          Dolore – temere di poter provare un dolore che confermerebbe una diagnosi infausta, o sapere che una determinata circostanza o un dato agente provocano sofferenza, causa un abbassamento della soglia di percezione del dolore;

-          Cefalea – sapere che una determinata condizione può provocarla, talvolta determina il suo insorgere anche in persone che non ne soffrono abitualmente;

-          Risposte allergiche – anche solo vedere in un video ciò a cui si è allergici, o venire in contatto con un allergene comune, ma non tale per il soggetto, può generare reazioni cutanee, starnuti, secrezione nasale e asma;

-          Prurito – il prurito può essere innescato anche dal semplice vedere persone grattarsi ripetutamente o sentire nominare acari, pidocchi, scabbia, tigna, orticaria, sostanze urticanti, polveri pruriginose, eccetera;

-          Disfunzione erettile e frigidità – questi disturbi si sono manifestati in persone che non ne avevano mai sofferto, dopo averne sentito parlare o aver creduto di essere a rischio di svilupparli.

L’effetto nocebo ci ricorda l’importanza di evitare e/o contrastare l’azione negativa di informazioni recepite in particolari stati psichici, perché tale azione può generare veri effetti fisiologici in tutti noi, e non solo, come si credeva un tempo, “malattie immaginarie” nella mente di persone deboli, depresse e tendenti all’ipocondria.

 

La degenerazione dei lobi frontali nella malattia di Alzheimer è uguale in forme familiari e sporadiche. Molti ricercatori ritengono che la degenerazione dei lobi frontali nella malattia di Alzheimer sia influenzata da fattori genetici. Per verificare questa ipotesi, Richard A. Armstrong della Aston University di Birmingham ha esaminato le distribuzioni laminari dei depositi di β-amiloide in casi di forme familiari, ad inizio precoce e tardivo, e in casi sporadici. Il pattern osservato era sostanzialmente identico, pertanto non sembra essere influenzato dall’espressione dei geni associati alla malattia [Folia Neuropathol. 53 (1): 15-23, 2015].

 

I micro RNA saranno i nuovi farmaci per le malattie degenerative del cervello? I micro RNA (miRNA), piccoli RNA non codificanti che possono regolare l’espressione genica dopo la trascrizione, sono espressi in gran numero e con elevata specificità nei neuroni, e sembra siano importanti per la salute del cervello. La ricerca terapeutica, secondo Campbell e Booth dell’Agenzia per la Salute Pubblica di Arlington, in Canada, dovrà prendere questa direzione [Expert Opin Drug Discov. 10 (1): 9-16, 2015].

 

L’estetica e l’interesse per il bello in natura e nell’arte producono effetti positivi sui processi cognitivi. Molti di questi effetti sono al vaglio sperimentale e sembra si estendano ai principali aspetti della fisiologia psichica, dalle emozioni all’intelligenza, ma più specificamente è stato provato di recente che il semplice guardare cose belle è in grado di accrescere la focalizzazione dell’attenzione.

 

L’antidepressivo Zyban, diffuso e propagandato contro la dipendenza da nicotina, può essere estremamente pericoloso. Le dosi del farmaco necessarie all’effetto anti-fumo determinano delle modificazioni nel sistema a ricompensa del cervello, riducendo sia il desiderio che i sintomi da astinenza. Al vaglio sperimentale, però, la sua efficacia era limitata al 15% dei casi, risultando inefficace nell’85% dei casi e, soprattutto, è controindicato in caso di epilessia, disturbi dell’alimentazione, danni cerebrali, sindromi bipolari e abuso di alcool. Infine, l’FDA ha segnalato il rischio di depressione e suicidio.

 

Un nuovo esame ematico può aiutare a prevedere se una commozione cerebrale causerà danni di lunga durata. Robert Siman e collaboratori hanno messo a punto un test in grado di misurare i livelli di un frammento di una proteina (SNTF, da calpain-cleaved all-spectrin N-terminal fragment) che sembrano strettamente correlati con la prognosi dei traumi del cervello senza lesioni rilevabili (concussioni o commozioni). Sembra che l’esame sia in grado di prevedere con buona approssimazione se la persona che ha subito il trauma rientra in quel 20% che svilupperà sintomi di lungo termine. Naturalmente, come per altre condizioni mediche, un singolo test non può dare una certezza del 100% e, pertanto, gli studi proseguono per l’individuazione di altri biomarkers del danno.

 

Notule

BM&L-02 maggio 2015

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